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giovedì 26 maggio 2016

Stefano Toma giornalista, deprezzamento degli università meridionali

Il giornalista Stefano Maria Toma, iscritto all’Ordine della Campania dal 2011, oggi è Consulente del Capo Dipartimento per le Libertà Civili e l’Immigrazione Ministero dell’Interno. Il giornalista in questo articolo descrive e approfondisce il livello, scarso, di competitività delle università italiane e più nello specifico di quelle del Sud Italia.
Stefano Toma Ministero Interno
Quando si parla di eccellenze, in specie quelle che escono dall’università, non si ha una percezione esatta del fenomeno sotto il profilo numerico e qualitativo.  E il discorso sta emergendo con prepotenza in relazione a due ingredienti dell’ultim’ora. Il primo concerne la bassa percentuale, meno del 20 per cento, di studenti Erasmus che dagli altri Paesi europei scelgono l’Italia sia per l’alto costo della vita e degli appartamenti in fitto, (a Milano il doppio di Lisbona) e sia per le scarse opportunità di lavoro. Il secondo elemento riguarda in particolare il Sud, la scarsa propensione del governo a stanziare finanziamenti per le università meridionali, il 60 per cento va al Nord e il 40 al Sud. Un malvezzo avallato da fatto, com’è dimostrato dall’ultima relazione dell’Istat, che nel Sud le nostre università stanno diventando sempre meno competitive rispetto a quelle del Nord del Paese. In Italia il 40 per cento dei laureati e diplomati sono senza lavoro o non lo cercano più. Le imprese non sanno che farsene. Nel Sud quel 40 per cento oltrepassa la metà.
Da una indagine privata, emerge che nella sola università Federico II, la più antica università statale del mondo, la più grande e la più popolosa del Mezzogiorno e la terza in Italia, sono usciti negli ultimi due anni accademici ben 5 mila studenti con il punteggio massimo di 110 e lode. In questa cifra sono inclusi i laureati sia col titolo magistrale (corrispondente alle vecchie lauree di 4, 5 e 6 anni) e gli altri col titolo triennale.
Se ci pensate, è una massa di studenti che affrontano la vita lavorativa o di ricerca con le carte in regola, come si dice. E davanti ai quali non ci sono molte strade di lavoro aperte. Un 30 per cento parte tenterà un lavoro, al Nord o all’estero. Un altro 20 per cento sceglierà la via della ricerca fra Torino e Milano e all’estero (Londra e Stati Uniti, ma stanno affiorando salti più specialistici in India o in qualche altro paese asiatico). Qui ne rimarrà la metà che rimarrà a carico dei genitori sine die, o imboccherà altre strade, non tutte raccomandabili. E poi alla fine c’è la carriera politica, per la quale, come sappiamo dal Movimento 5Stelle, non è richiesta alcuna preparazione specifica (le vecchie scuole dci partito sono morte e sepolte).  Come si spiegano infatti quei diecimila candidati alle elezioni amministrative di Napoli del 5 giugno se con la ricerca affannosa di uno stipendio sicuro, sia pure per i prossimi cinque anni?
Ma se si continuasse col tanto temuto e ulteriore  deprezzamento degli università meridionali, Il Sud potrebbe tranquillamente contare sul de profundis del proprio futuro.

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